Una risorsa per la gestione della demenza: il cohousing

Una risorsa per la gestione della demenza: il cohousing

“L’animo può superare molte sofferenze, quando nel dolore si hanno compagni che lo condividono” (W.Shakespeare)


Chiunque ne abbia fatto esperienza come familiare o come operatore, sa che costo enorme sul piano emotivo, psicologico ed economico, comporti l’assistenza a una persona malata di demenza. Purtroppo questo sforzo a lungo termine non viene adeguatamente supportato dal Welfare, che è sempre più fragile, né dalle reti parentali, che fino a pochi decenni fa consentivano di integrare e sostenere le figure degli anziani e dei malati, ma che nel tempo sono andate disgregandosi.

L’attuale struttura sociale infatti è caratterizzata da uno spiccato individualismo e una conseguente solitudine esistenziale che si accentua nel caso delle malattie dementigene, ancora percepite come stigmatizzanti sia nei confronti dei malati, che dei familiari che se ne prendono cura.
Per garantire un buon livello di assistenza i care giver spesso rinunciano alle proprie attività professionali e relazionali, ma questo indebolisce le risorse personali, anche economiche, ed espone a pericolosi stati di burn out. L’alternativa cui si è costretti a ricorrere è l’istituzionalizzazione. Questa delega all’assistenza viene solitamente percepita come un fallimento delle proprie capacità di cura e quindi vissuta con senso di colpa e frustrazione, inoltre comporta un costo considerevole e non è sempre in grado di garantire un’assistenza di qualità per il malato, visto che le strutture dedicate sono ancora poche rispetto al numero sempre crescente dei soggetti interessati.


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Una possibile alternativa, etica e sostenibile, è la proposta di coabitazione assistita per malati di demenza sostenuta dall’associazione Demaison ONLUS, nata in Friuli nel 2015.
Il cohousing o coabitazione assistita, come idea di condivisione di immobili nei quali trasferirsi assieme, nasce in Danimarca nel 1964 e si diffonde negli Stati Uniti e in Australia negli anni 80 e 90, ma si sta affermando solo negli ultimi anni in Italia nel contesto di un sistema mutualistico e solidale. Recentemente infatti si assiste a un aumento di forme di condivisione non solo delle abitazioni, ma anche di beni e servizi, come il car sharing, la baby sitter di condominio o i gruppi di acquisto . Tutte queste iniziative sottendono il desiderio di ottimizzare le risorse delle famiglie e in particolare dei soggetti più fragili, come gli anziani (Silver Cohousing) che traggono dalla coabitazione anche l’indubitabile vantaggio di mantenere una rete di relazioni sociali. Si può ricordare ad esempio l'”Abitare solidale” promosso in Toscana dall’AUSER.
Per quanto riguarda più specificatamente la coabitazione assistita per i malati di demenza, si possono segnalare in Europa alcuni esempi di grande risonanza come il villaggio di Hogewey in Olanda o il Dementia Village in Svizzera. In entrambi questi casi si tratta di realtà molto articolate, che vedono la costituzione di un gruppo di nuclei abitativi, addirittura con tipologie diversificate in base allo status sociale degli abitanti, inseriti in un contesto protetto che riproduce la struttura di un villaggio. Purtroppo il costo molto elevato del retta non rende queste realtà accessibili a tutti. A Vallgossen, in Svezia, è stato invece approntato un condominio di 126 appartamenti che ospita sia malati di demenza che anziani, con un rapporto di assistenza fornito dal reparto di medicina riabilitativa dell’ospedale Danderyd.
In generale queste iniziative sono comunque condotte, e in parte finanziate, da Enti Pubblici, così come il progetto, più simile a quello friulano, dell’appartamento messo a disposizione, ad affitto agevolato ,da parte del Comune di Modena.
Al contrario, il primo progetto pilota di coabitazione assistita per malati di demenza attivo dal 2013 in provincia di Udine, è nato per iniziativa privata; è frutto della resilienza di alcune famiglie che hanno avviato autonomamente un processo di coabitazione assistita per i propri cari, accomunati da un esordio molto precoce di malattia.
I risultati ottenuti da questa esperienza hanno avvalorato l’ipotesi che una assistenza di qualità garantisca un livello di benessere molto più alto e rallenti il processo degenerativo e hanno dimostrato l’infondatezza del pregiudizio che si tratti di interventi impraticabili, perché troppo difficili e onerosi.

Isoci fondatori dell’Associazione Demaison sono i familiari stessi che hanno dato vita alla realtà di cohousing  per persone malate di demenza nata in Friuli nel 2013, di cui si parlava.
I risultati estremamente incoraggianti di quell’esperienza, infatti, hanno spinto lo scorso anno a costituire un’Associazione che potesse aiutare altre famiglie con le stesse difficoltà a riprodurne il modello.

Concretamente vengono organizzati incontri con i nuovi soci/richiedenti durante i quali vengono presentati gli obiettivi dell’ Associazione e l’esperienza di coabitazione. In quel contesto si confrontano anche le motivazioni per la coabitazione e le capacità di contribuire a tali progetti da parte degli interessati. Attraverso un percorso di consapevolezza delle tappe personali e amministrative si mettono le persone interessate in condizione di realizzare compiutamente la coabitazione e se ne supporta la stabilizzazione, fornendo, ad esempio, riferimenti e consulenze di professionisti collegati all’Associazione.
Attualmente si è formato un nuovo gruppo di tre famiglie che si sta avviando alla costituzione di un nucleo abitativo di cohousing.

Il modello proposto è massimamente flessibile e adattabile alle esigenze delle famiglie, come un abito su misura; idealmente prevede la costituzione di piccoli nuclei abitativi, possibilmente omogenei, di 3/4 persone malate di demenza, accudite da 2/3 operatrici residenti. I familiari, pur non conviventi, partecipano attivamente alla cura dei propri cari e cooperano alla gestione della casa e delle varie attività proposte. Il piccolo gruppo, che riproduce la struttura di una famiglia, e proprio per questo è percepito come accogliente e rassicurante, consente di personalizzare l’intervento assistenziale; garantisce maggiore attenzione alle esigenze e alle caratteristiche individuali dei malati, contribuendo a ridurre i disturbi comportamentali e l’uso conseguente dei farmaci. Le risorse “liberate” dall’affrontare la gestione della malattia in modo comunitario consentono di programmare un certo numero di attività terapeutiche e occupazionali (ad es. musica, massaggi o attività motorie) che contribuiscono al benessere dei malati.
Consentono inoltre di apprestare abitazioni idonee alle esigenze specifiche dei malati, dotate di facilitazioni che compensano la disabilità e consentono una relativa autonomia, ma soprattutto luoghi che, pur garantendo la sicurezza, sono confortevoli e accoglienti.


Nell’ esperienza udinese si è data molta attenzione alla presenza di un numero di stanze sufficienti a garantire a ognuno dei coabitanti uno spazio privato personalizzato, ma anche ampie aree comuni. Inoltre si è cercato un immobile circondato da uno spazio verde conchiuso e circolare, per consentire il vagabondaggio in libertà e fornire numerosi stimoli sensoriali.
L’assistenza che si realizza in questi progetti di cohousing si può quindi considerare etica, perché fondata sulle tre idee centrali che secondo T. Kitwood garantiscono una buona assistenza: rispetto -solidarietà morale- relazione. Preserva l’essere persona del malato e garantisce il giusto equilibrio tra sicurezza , rispetto per l’identità e l’ autonomia residua in un contesto proficuamente socializzante. Si è infatti potuto osservare che i malati , anche in una fase moderata o grave, si percepiscono parte di una comunità e, grazie ad una forma di comunicazione non verbale, interagiscono fra loro dandosi aiuto e sostegno reciproci. E’ inoltre una modalità assistenziale più sostenibile per le famiglie grazie alla condivisione delle spese, ma anche grazie alla possibilità di “accompagnare” il proprio caro nel difficile percorso della malattia, senza distogliere completamente l’attenzione da sé stessi e preservando la propria salute fisica e psicologica, anche grazie alle nuove relazioni sociali.
Per quanto riguarda gli altri soggetti della cura, le assistenti domiciliari devono essere aiutate a relazionarsi positivamente con i malati di demenza innanzitutto attraverso una conoscenza biografica delle persone che assistono e attraverso attività di formazione e di supporto. La possibilità di collaborazione e di confronto con colleghi e familiari in un ambiente più vivace e ricco di stimoli contribuisce a ridurre gli stati di burn out in cui spesso le operatrici incorrono a causa della solitudine del loro lavoro.
Concludendo, il cohousing , in una modalità informale e flessibile come quella sostenuta dall’Associazione Demaison onlus, si conferma essere una valida risorsa per la gestione della demenza, che rende più sostenibile il percorso di cura, assicurando evidenti benefici sia in termini psicologici che economici tanto ai malati che ai loro care giver. Per questo l’Associazione si pone concretamente da intermediaria tra le famiglie colpite da questa grave patologia, creando una rete di contatti, che consenta agli interessati di incontrarsi allo scopo di costituire realtà di coabitazione assistita e supportando con attività formative e di consulenza l’avvio dei nuovi progetti.

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